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Love

PICNIC IN CAMERA MIA
Entrai nella stanza con il cabaret in mano. Sabrina alzò gli occhi dai libri di studio. "Ooooohh che carino.." "Visto?" sorrisi, gettando il mucchio di vestiti dal letto al tappeto, per posare il cabaret. "Pausa merenda" annunciai. "Ti va di fare un picnic?" mi chiese. Guardai la nebbia fuori dalla finestra. "Tempo ideale," commentai. "Ma no, qui nella tua stanza!" Ci pensai su un attimo. Non era una brutta idea. "Ok dissi, posando il cabaret sul copriletto" "No no" Strillava, "non qui, sul prato!" Indicava il tappeto. "Certo," dissi, "sul prato." E via il mucchio di vestiti ancora sul letto. Era il destino del mucchio di vestiti in camera mia: migrava continuamente dal letto al tappeto, dal tappeto al letto a seconda delle esigenze. E la notte, sulla sedia della scrivania, per fare un po' d'ordine. Posai il cabaret sul tappeto, ci sedemmo. "Fatti un po' più in là per favore," dissi, "questo prato è piuttosto piccolo" Avevo le gambe ripiegate proprio dietro la porta. Se mia madre decideva di raggiungerci sul prato mi gambizzava. "Ma noooo, questa è la coperta del picnic! Il prato è tutto intorno..." Fantastico, pensai, guardandomi attorno. Le porsi una brioche calda da microonde. "Mmmhh buona" "E niente formiche" osservai, entrando nello spirito della cosa. Addentai la mia. Ci davamo dentro col picnic, seduti sul tappeto. Mangiate le brioche bevemmo succo di pera con l'acqua frizzante. "Buono!" diceva lei. Era fantastica, in questo. Dava soddisfazione. Beh, era fantastica anche in molte altre cose. "Abbassa lo stereo, che sentiamo gli uccellini!" Perplesso, abbassai lo stereo. "Li senti?" era tutta felice, bellissima. Tesi le orecchie. A parte Elton John e qualche rumore di tubatura nei muri non sentivo niente. Scossi la testa. Mi sembrò delusa. Presi un altro sorso di succo di pera. Lei si mise a fischiettare piano. Ora li sentivo gli uccellini. Risi. Poi lei cominciò a fare: "Cip cip!" e scoppiò a ridere anche lei. "Sento dei pulcini" le dissi. "Deve esserci una fattoria nei dintorni" Lei si raccolse i capelli. Dio come era bella. "Mi prendo un po' di sole" annunciò, e si sdraiò sul tappeto, la testa sulle mie gambe. Le carezzavo i capelli. Lei teneva gli occhi chiusi. Restammo in silenzio per un po', poi dissi: "È fantastico." "Vero," rispose, "e c'è anche un bel sole." Guardai il soffitto. Il lampadario aveva tre lampadine orientabili. "Quale dei tre?" chiesi. Si imbronciò. "Non vuoi fare il picnic con me," diceva. "Ma no piccola, mi sto divertendo, giuro" "Adesso fai il duro" replicò. Alzai gli occhi al cielo. Mai combattere con le donne. Mi chinai e la baciai. Rispose al bacio. Guardai l'orologio. Mia madre era andata a ginnastica. "Che ne dici di tornare in macchina?" Lei annuì. Tornammo sul letto. I vestiti tornarono sul tappeto. Allungai una mano e spensi il sole. Anzi, tutti e tre.


Stefano Re © Nov 1991
da Tracce