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SPECIALE LIVING DEAD
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4.6 La contraddizione
Nel finale di Night Ben viene "iconizzato", diventando un simbolo del pregiudizio razziale quando gli uomini dello sceriffo gli sparano credendolo tout-court uno zombie. Questa scena pone la domanda chiave: avrebbero agito così anche se fosse stato un bianco? Non avrebbero cercato di comunicare prima, di accertarsi che non fosse uno zombie? È la stessa domanda che sorge dal comportamento di Cooper: sarebbe stato altrettanto ostile ad un leader bianco? Romero sembra voler solo suggerire queste iniquità, ma al tempo stesso, in modo sottilmente perverso, ci mostra che le scelte fatte da Ben hanno condotto il gruppo alla distruzione, mentre quelle suggerite dall'antipatico, (forse) razzista Cooper lo avrebbero con ogni probabilità salvato. Perché questa contraddizione? Non è peraltro un fatto isolato: in Land, Romero ci mostra degli zombie "evoluti" che marciano contro il simbolo della loro oppressione, il grattacielo nella città degli umani. Li mostra che superano la prigionia dei fuochi d'artificio, come masse di rivoluzionari che sfuggano al controllo delle favole imbonitrici raccontate loro dai media al servizio dei potenti. Li mostra che sparano contro i militari e divorano i ricchi, e infine li mostra allontanarsi, nella parole di Riley, "in cerca di un posto dove stare". Ma tutto ciò è illusorio, fallace: sono zombie, sono morti viventi: il loro status non ha a che vedere con un labelling sociale ma con una aberrazione della natura: il fatto che uno tra essi si sia evoluto e abbia ingaggiato una sorta di crociata vittoriosa contro un simbolico oppressore non li rende in realtà differenti dagli altri zombie che tutto attorno continuano solo a cercare esseri umani da divorare. I poveri della città degli umani, miracolosamente scampati all'attacco degli zombie, appaiono grottescamente ridicoli nella loro meschinità prima, quando erano pronti a vendersi l'anima per scommettere su quale zombie azzannasse per primo una vittima sacrificale gettata in un recinto e altrettanto ridicoli e grotteschi appaiono nella loro ritrovata purezza dopo la "liberazione dal giogo imperialista", quando imbracciano allegramente i fucili e dichiarano di voler costruire un posto migliore, il posto che sognavano. Come se ogni male fosse svanito con Kaufman e la sua limousine. Questa simbologia appare persino ad un occhio ingenuo come estrema, fragile, plastificata e stereotipa. I personaggi appaiono simulacri, irreali, macchiette messe a bella posta per ammaliare e far vivere i sogni e i desideri di ribellione e giustizia dello spettatore, irrimediabilmente finti. Così come l'eroe è ancora e sempre un pistolero, e non a caso nell'ultimo capitolo è per la prima volta un bianco anglosassone, la cui non appartenenza al mondo dei privilegiati è una scelta politica e non più una questione di appartenenza razziale - come era stato invece per tutti gli altri "eroi" dei film della saga. Ed ecco che, come in un gioco di scatole cinesi, lo stesso messaggio critico e rivoluzionario del film sembra esser suggerito quale tripudio di sofisticati fuochi artificiali studiati per far sognare ad occhi aperti lo spettatore no-global. Insomma Romero sembra da un lato voler denunciare in modo palese e persino demagogico pregiudizi e iniquità della nostra società attraverso la sua metafora orrorifica - e dall'altro in modo sottile, sussurrato (come già lo erano i messaggi di Night e Dawn) proprio la fragilità e la banalità della loro rappresentazione sembrano irridere, svilire le stesse soluzioni che i "metaforici rivoluzionari" dei suoi copioni avanzano. Nell'insieme, il messaggio di Romero resta uno solo e terribilmente pessimista: l'umanità è marcia al suo interno. Le migliori speranze che la animano sono, e restano, poco più che sogni. L'unica cosa reale che ci attende tutti è la decomposizione, di corpi, idee e sogni utopistici. Persino di quelli più cari al regista stesso. Stefano Re ©2005
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