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L'aculeo

CONCERTANDO LE RIFORME
20/03/2006
La premessa fondamentale che l'Unione porta al vaglio degli elettori riporta in auge un termine assai usato alcuni anni fa: la concertazione. Il progetto politico di cui Romano Prodi si fa interprete è ispirato, non soltanto sul tema del lavoro, a questa modalità. Una concertazione che vorrebbe essere tavolo di confronto produttivo in cui partecipino con egual peso le controparti: siano esse sindacati e confindustria, lavoratori autonomi e dipendenti, cattolici e laici, europeisti e euroscettici, sostenitori della tav e promotori del no tav.
L'Unione quindi si presenta con questo paradigma come ispirazione, e ne fa modello persino nella composizione del proprio schieramento elettorale. Chiede il voto ai cattolici con l'UDEUR, ai moderati con la margherita, ai postcomunisti con i DS, ai semprecomunisti con i comunisti italiani, ai neocomunisti con Rifondazione, ai campioni della laicità con la rosa nel pugno e persino ai supercontestatori con Caruso.

Quello che Berlusconi ha intrapreso è invece stato un percorso dichiaratamente "di parte" nelle sue premesse. Una scelta che ha permesso, anche subendo durissime contestazioni, di mettere all'attivo del governo uscente un numero record di riforme in ogni settore della vita pubblica. Ovviamente la valutazione su queste riforme può essere legittimamente differente: nella stessa Unione esse trovano alternativamente sostenitori e contestatori. In ogni caso, certamente le riforme possono essere modificate, migliorate, corrette e se necessario persino smantellate. Ma sono state fatte, e questo è un fatto innegabile. Quel che rende, a mio giudizio, inconsistente il modello che propone e rappresenta oggi l'Unione è proprio questo aspetto. Voler riunire, in termini decisionali paritari, forze tra loro non soltanto non omogenee ma persino in netta opposizione conduce inevitabilmente, scientificamente direi, all'immobilismo politico.
Come può un governo espresso e sostenuto da chi vuole eliminare il finanziamento pubblico alla scuola privata (Rosa nel pugno) e da chi dichiara di considerarlo irrinunciabile (Margherita) prospettare e poi attuare delle riforme in tal senso? Come può proporsi una azione efficace di riforma sul mondo del lavoro chi dice alla CGIL "faremo nostro il vostro programma" e lo stesso dice alla Confindustria? Come può in politica estera proporsi una immagine nitida e incisiva chi è sostenuto da chi vede l'America come un nemico naturale e chi come il primo tra gli amici? Che politica energetica può prospettarsi con un governo sostenuto da chi il nucleare lo vede come un male assoluto e chi ne considera apertamente la possibilità?
Il professor Prodi rassicura dicendo: si parlerà, si discuterà e si cercherà l'accordo strenuamente, ma al momento di decidere, deciderò. Non voglio certo mettere in dubbio le sue intenzioni. Ma con che maggioranza ritiene, il professor Prodi, di poter attuare le sue decisioni, quando ogni passo in ogni materia ed in qualsiasi direzione sarebbe causa di rottura dello schieramento che lo sosterrebbe?
La risposta è banale quanto desolante: un governo improntato sulla concertazione è certamente una bella ipotesi, priva però di qualsiasi capacità esecutiva in tema di riforme strutturali. Quelle riforme che sono mancate in decenni di consociativismo e concertazione. Quelle riforme di cui il paese ha disperatamente bisogno.

Il governo della casa delle libertà di Berlusconi ha certamente inasprito il conflitto tra le parti sociali, e sembra non aver soddisfatto pienamente nessuno. Ma all'attivo ha un numero esorbitante di riforme, che attendono ancora il vaglio del tempo per mostrare la loro forza o la loro debolezza. Riformare un paese, la storia ce lo insegna, è un compito ingrato, che necessariamente scontenta tutti persino in tempi di abbondanza. Considerato lo scenario politico e economico internazionale che ha accompagnato questo quinquennio, lo sforzo riformista attuato dal governo uscente è quantomeno sorprendente. Un governo basato sulla pace sociale quale quello proposto dall'Unione sarebbe un governo assai più amabile, ma immobile. Politicamente impossibilitato a proseguire o modificare il percorso riformista avviato da Berlusconi, in qualsiasi direzione valutasse di volerlo fare. L'unica cosa su cui potrebbe trovare consenso e stabilità interna consiste nel cancellare, in tutto o in parte, lo sforzo compiuto finora. E questo, sinceramente, non mi parrebbe un gran risultato.


Stefano Re © 20/03/2006