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L'aculeo

CULTURE DI VITA - CULTURE DI MORTE
11/09/2001

God Bless America
E' martedì 11 settembre 2001, circa mezzanotte. Sto in Italia, sto chattando, le due torri del world trade center non esistono più da circa 8 ore e mezza. Sono sparite un una nuvola di fiamme assieme a circa seimila persone. ¹.

Sto chattando, in una "room" che di solito è adibita ai tornei di spades, un gioco di carte. Siamo lì dentro in una quindicina di persone, io sono italiano, un tizio di nome Sami è finlandese, gli altri sono tutti americani, tranne uno. Chatta come Abdul, si dichara "arabo e figlio di Allah". Ci vuole spiegare perché sta festeggiando una vittoria, mentre il mondo piange una tragedia.
Diceva: "we killed 50thousands of you, pig eater" (abbiamo ucciso 50mila dei vostri, mangiatori di maiale)
Mi aspettavo una esplosione di rabbia, di insulti. Io non sono americano, ma avrei voluto averlo tra le mani e strozzarlo. E invece, gli americani chiedevano, pacati, attoniti, forse scioccati. Una di loro chiedeva semplicemente: "perché?"
Lui rispondeva: "i bambini sono morti anche in Palestina, non avete pianto. Oggi piangete."
Una ragazza gli chiedeva: "ma che cazzo c'entrano i bambini che stavano nel WTC con quelli uccisi in Palestina?"
Abdul rispondeva: "i vostri governanti hanno condannato anche voi"
Uno ha riflettuto, dicendo: "Forse nel paese in cui sei cresciuto non vi è distinzione tra chi governa e il popolo, qui da noi c'è, non siamo uniti in una missione sacra, non siamo una cosa sola"
E lui: "agli occhi di Allah non c'è differenza" Io mi chiedevo se lo stavano tracciando, se qualcuno avrebbe bussato alla sua porta a breve, se avrebbero buttato giù quella porta a calci irrompendo in casa sua magari per prenderlo per la collottola e gridargli in faccia che dentro quelle torri c'erano migliaia di persone innocenti, migliaia di persone che avevano la loro testa, le loro opinioni, le loro speranze, la loro vita, persone che di Allah e del medioriente potevano non saperne un accidente di nulla - che si svegliasse, perdio!
Una ragazza della chat mi ha aperto un privato, mi ha chiesto se secondo me viveva negli USA, Abdul. Aveva paura. Ho pensato alla metrò che prendo per andare al lavoro, al vagone pieno almeno a metà di arabi ogni santo giorno. Mi sono chiesto se Abdul è tra loro. Mi sono domandato se persone cresciute a omogeneizzati e odio possono davvero convivere in pace con società diverse.

Non dobbiamo fare di tutta l'erba un fascio, si dice. Vero, verissimo. Ma noi viviamo in occidente. In questa decadente, pluralista, sacrosanta, ipocrita e bigotta società multietnica. Io sono ateo, ma ho amici cattolici, amici buddisti. Dialoghiamo, sappiamo scherzare sulle nostre differenti visioni della vita, lasciamo un margine di ironia attorno alle nostre necessità individuali in campo metafisico. Le crociate sono finite tanto tempo fa, l'inquisizione è un brutto baubau per farci film e gialli d'autore. Non siamo certo bravi e buoni, il razzismo serpeggia, la xenofobia, l'ipocrisia, le rabbie. Ma alla luce del sole, le condanniamo. Lo stupratore, il violento, il razzista, vengono additati, la legge garantisce la libertà di opinione, di religione, di vissuto della sessualità da abusi e angherie. Certo, ne avvengono molte lo stesso, ma i nostri stati le respingono con tutti i mezzi che hanno a disposizione. Le nostre coscienze le condannano. In Afghanistan, in Iran, in Iraq, non c'è libertà di pensiero. La legge non garantisce nulla in merito. La legge garantisce persecuzioni a chi non rispetta la religione di stato. L'odio forse è un patrimonio naturale, ma è la cultura a scegliere se arginarlo o scatenarlo.

Vidi un filmato, tempo fa, girato in Cisgiordania. Mostrava una classe di bambini palestinesi. Erano una trentina, tra i 5 e i dieci anni, vestiti con buffi foulard pieni di scritte in arabo. Sorridevano e cantavano. Si trattava di un filmato della Croce Rossa Internazionale. Doveva far parte di un documentario sulla popolazione della Palestina. I bambini cantavano versi del Corano. Una melodia un po' cantilenante, mielosa, mi ricordava il "tanti auguri a te" anche se i suoni erano molto diversi. Sono apparsi i sottotitoli. Cantavano: "sono felice di morire per la guerra santa, sono felice di morire per Allah". Le scritte sui foulard dicevano "morte agli USA, morte ad Israele". Una volta visionata la traduzione, il filmato venne stralciato dal documentario. Ma non è stato stralciato dalla mia memoria.

Vi sono società che nutrono all'odio i bambini. Li crescono nell'odio, li educano ad odiare. L'occidente ha fatto un grave errore di valutazione. Etnocentrismo pluralista, lo definirei. Noi abbiamo passato la fase integralista. Semmai ci avviamo alla decadenza dei valori, ma la stessa parola "Integralismo" da noi è oramai sinonimo di ottusaggine. Così non è in alcuni paesi arabi. Quegli stessi stati che crescono bambini nell'odio. Quegli stessi stati che coltivano assassini. Quegli stessi stati che finanziano e addestrano terroristi.

L'occidente ha già affrontato una cultura dell'odio nel secolo appena finito. Si chiamava nazionalsocialismo. Anche il nazismo educava i bambini all'odio. Ma ha avuto solo una generazione, e un lembo di territorio molto limitato su cui mettere radici. Lasciar crescere il nazismo per una decina d'anni è costato una guerra mondiale. La cultura dell'odio arabo cresce da cinquant'anni almeno, su un territorio vastissimo. Ci siamo cullati nella fantasia di stimolare un sano confronto, di valorizzare le differenze culturali. Ci siamo beati per decenni nella magica parola "integrazione". Oggi i figli di quell'odio vengono a portarci il conto del nostro errore.

E' tempo di affrontare una realtà odiosa, dolorosa, ma presente. Vi sono stati che coltivano l'odio. Vi sono intere popolazioni pronte a muoverci guerra, santificate nel fanatismo e cresciute all'ombra delle nostre coscienze. Ieri sera c'era gente che festeggiava per strada, in Palestina. Ma ce ne era anche qui a Milano. E ce ne era che giustificava questo atto, o che commentava compiaciuta la vulnerabilità degli USA. Questi nuovi fanatici dell'odio non sono soltanto portatori di una opinione diversa. Sono portatori di morte.
La loro cultura non è meno feroce di quella nazista.

Io dico, è tempo di tracciare una linea ben precisa di demarcazione. Una linea tra culture che accettano la tolleranza e la convivenza civile e culture di odio e di morte.
Prima di una rappresaglia militare, prima di una condanna politica o morale, occorre scendere alla radice e dare la condanna culturale.

Il resto, seguirà.

¹ Seimila era la cifra diffusa dai media in quei primi momenti convulsi. L'entità della catastrofe ha impedito un conteggio accurato, comunque Il numero delle vittime ad oggi è fissata intorno alle duemilaottocento persone.


Stefano Re © 11/09/2001